Una recente sentenza della Suprema Corte stabilisce per il riconoscimento di debito l’imposta di registro in misura fissa
Come riportato dal “Sole24Ore”, edizione del 21 giugno, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della corretta applicazione dell’imposta di registro per gli atti di riconoscimento di debito (sentenza 481 dell’11 gennaio 2018).
La notizia positiva per i contribuenti è che, secondo i Giudici di Piazza Cavour, a tale tipo di atti si applica l’imposta in misura fissa.
Spesso infatti gli Uffici ritengono che la ricognizione di debito ricada nella disciplina dell’art. 9 della Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986, che tassa al 3% gli “atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
La ricognizione (o riconoscimento) di debito trova la sua compiuta disciplina nell’art. 1988 del codice civile. Con la ricognizione di debito, il debitore di un rapporto obbligatorio, cosiddetto “rapporto fondamentale” o “sottostante”, dichiara di riconoscere l’esistenza del debito, dispensando il creditore a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale, l’esistenza del quale si presume fino a prova contraria.
L’effetto processuale tipico della ricognizione è quindi l’inversione dell’onere della prova.
Circa la disciplina fiscale dell’istituto in questione, come è stato precisato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 8/E del 2010, “per costante giurisprudenza di legittimità la disciplina civilistica di un istituto è applicabile al campo tributario qualora l’ordinamento tributario non disciplini autonomamente la materia con proprie norme”.
L’atto di ricognizione del debito è un atto meramente ricognitivo privo di contenuto patrimoniale, da tassare con imposta fissa ed in caso d’uso, ai sensi dell’art. 4, co. I, Tariffa, seconda parte.
Pertanto, ne deve essere esclusa la tassabilità ex art. 9 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, per i seguenti due motivi:
– il riconoscimento di debito manca di contenuto patrimoniale;
– esso è comunque privo di effetti sino a quando non giunge a conoscenza del destinatario.
In secondo luogo, la soluzione dell’applicabilità alla ricognizione di debito della norma residuale di cui al citato art. 9 della Tariffa, parte I, del D.P.R. 131/1986 non sembra condivisibile se si analizza l’evoluzione storica della normativa sull’imposta di registro (argomento valorizzato dalla sentenza in commento).
Il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 espressamente menzionava al n. 28 della Tariffa, parte I, la ricognizione di debito, assoggettandola all’imposta proporzionale con aliquota dell’1,5%. La stessa norma conteneva una disposizione residuale del seguente tenore: “in genere tutti gli atti e contratti che contengono obbligo di somme e valori”.
La disposizione residuale è contenuta anche nell’art. 9 della Tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, integralmente riprodotto nel citato art. 9 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986. Non è stata, invece, riprodotta la disposizione specifica sulla ricognizione del debito. Da ciò sembra potersi dedurre che il legislatore fiscale abbia voluto escludere tale fattispecie da quelle sottoposte ad imposizione proporzionale, anche alla luce dell’illustrato principio di cui all’art. 20 dello stesso D.P.R. n. 131 del 1986.
In passato la Cassazione si aveva espresso un orientamento contrario rispetto a quello in commento con le sentenze n. 12432 del 12 maggio 2007 e n. 16829 del 20 giugno 2008 che contenevano il seguente principio di diritto: alla ricognizione di debito, in quanto avente natura dichiarativa, è applicabile l’aliquota dell’uno per cento”.
La speranza, quindi, è che la ricognizione di debito abbia finalmente trovato la sua corretta applicazione ai fini dell’imposta di registro.